Autore: mammeinfuga (Pagina 21 di 58)

Le mamme ‘aspettano’ sempre…

Ho comprato il libro di Enrica Tesio (blogger geniale, ironica e irriverente di Tiasmo) qualche mese fa, appena pubblicato. Avevo una gran voglia di leggerlo, ero molto curiosa, ma poi, per strani giochi del destino, è rimasto intonso sul mio comodino fino a pochi giorni fa.
Volevo che fosse il momento giusto.
E ora, anche se ancora non sono in vacanza, i ritmi sono però finalmente rallentati, gli impegni diradati e così sono riuscita a dedicarmi alla sua lettura proprio come avrei voluto. 
Seguo Enrica e il suo blog da diverso tempo, amo molto questo suo stile fresco, totalmente originale ma che sa davvero regalarti e offrirti grandi slanci di sincerità e farti riflettere, pensare. 
In un misto costante tra commozione e ilarità. 
Avevo letto già diverse recensioni sul libro (una di quelle che mi era piaciuta di più è quella de ‘L’inventore di mostri’ della dolcissima Valeria) e mi ero già fatta un’idea del libro e di quello che immaginavo di ritrovarci scritto dentro.
Ma, se è vero che i libri sono in qualche modo ‘scritti’ anche dal lettore, che ci proietta dentro qualcosa di sè e della proprio vita, devo dire che questo libro mi ha totalmente spiazzato: mi è sembrato scritto apposta per me.
Da cosa si misura quanto hai amato e ti è piaciuto un libro? Dalla quantità di frasi sottolineate qua e là? Dal numero di pieghe fatte agli angoli delle pagine per ritrovare quel pezzo che ti ha tanto colpito? Da quante volte leggendolo ti ritrovi a pensare a quanto sia vero anche per te quello che c’è scritto?
Ho letto il libro praticamente tutto di un fiato (sono un’avida lettrice!), però ho continuato a portarlo con me anche per i giorni a seguire, nella borsa.
Ogni tanto, quando avevo un attimo di attesa e di tranquillità, mi piaceva riaprirlo e rileggere le cose che mi avevano così colpito e toccato, in una specie di gesto confortante e rassicurante.

E’ un libro che parla dell’amore, è vero. 
Ma di un amore in senso, oserei dire, universale: è l’amore per un compagno, l’amore per un’amica, per la propria famiglia di origine, per i propri figli. L’amore per se stessa.
E’ un’analisi ironica e spietata di tutte noi (donne, mamme, bambine, mogli, figlie), di tutta questa meravigliosa complessità che ci portiamo dentro, in un gioco che si chiama vita e che assomiglia alle Matrioske russe. Dentro di noi abbiamo tutte le donne che siamo state, fin dalla nostra nascita, e le portiamo sempre con noi. Alcune le amiamo, altre le detestiamo. Ma per vivere serene e star bene dobbiamo imparare ad accettarle. Tutte, incondizionatamente. Fare pace con loro e con noi stesse.
Come scrive Enrica: “abbracciandole tutte”.
Ma le parti che mi hanno maggiormente colpito (e affondato!) sono quelle che parlano della maternità. Sarà perchè per me è un periodo davvero strano: i miei figli crescono (sono già cresciuti!) e sto imparando a fare i conti con questa nuova dimensione dell’essere madre. 
E non è facile per niente.
I racconti che fa dei due bimbi nel romanzo sono meravigliosi: con quello sguardo incantato e ammirato e innocente, di chi scopre il mondo per la prima volta. 
Ed è vero, con un bimbo piccolo accanto il mondo è nuovo anche per te. Lo guardi attraverso i suoi occhi e quello che ti sembrava ovvio e scontato ad un tratto non lo è più.
Mi manca questa dimensione, questa capacità di emozionarsi e stupirsi davanti a piccole cose che crescendo perdiamo, noi insieme ai nostri figli. 
Nel libro rende benissimo queste sensazioni quando dice che la “maternità è attesa”, è ‘aspettare’: anche se esattamente cosa non si sa.
Una mamma ‘aspetta’ i suoi figli per tutta la sua vita.
Una mamma sono io, che ‘aspetto’ ogni giorno i miei figli. Che vorrei restassero come sono, ma che allo stesso tempo vorrei vedere grandi e già indipendenti. Che vorrei cercassero sempre un mio consiglio, ma a che a volte sono stufa di sentire chiamare ‘mamma’ per ogni singola cosa.  Che vorrei abbracciare e coccolare all’infinito, ma che a volte devo urlare per farmi ascoltare e che sogno di scappare sola su di un’isola deserta.
Una mamma sono io e lo siamo tutte, in modo diverso e allo stesso identico modo.
 

  

Quattro passi per Milano

Sono nata a Milano e ci ho vissuto fino all’inizio delle scuole superiori.

Ci sono tornata per studio, per lavoro, per amore e per divertimento (ogni scusa era buona) e ci ho vissuto ancora un po’.

Spesso ci torno e, ogni volta, mi sorprendo a chiedermi a come sarebbe ora la mia vita se a Milano fossi rimasta. Chi sarei adesso se ai numerosi bivi esistenziali avessi scelto l’altra alternativa?
Cosa farei ora se, ad esempio, avessi accettato quel lavoro in pieno centro comodo con i mezzi e in linea con le mie aspirazioni?

Mi hanno detto che non ci devo più pensare, che devo lasciar andare.

Quando vado a Milano spesso mi incontro con Roberta e con lei mi ritrovo sempre a camminare per km e km guardandoci in giro e scattando foto come fossimo turiste. Più che altro foto sceme e, per i più, prive di senso.

Fotografo il Duomo ogni volta, ogni volta da un’angolazione diversa. Come se avere una foto in più del Duomo in archivio accorciasse le distanze e curasse le ferite ancora aperte.

Roberta mi distrae dai pensieri negativi e riporta la concentrazione sul presente.

All’improvviso vede un negozio che “Qui voglio entrare, eh!”, stanca dei miei qui no e qui nemmeno, detti senza pensarci (ma lei mi prende sempre sul serio).

Entriamo. Vabbé in fondo ci sono i saldi, vuoi mai che trovo qualcosa. Guardo ma non vedo. Roberta tocca tutto, è eccitata come una bambina al luna park.

La mia attenzione si risveglia solo di fronte ad un cartello…ma questi cosa scontano???

Sorrido, sorridiamo, ricominciamo a camminare sempre dritto fino in Porta Ticinese.
Alzo lo sguardo e penso che la frase della foto qualcuno l’abbia scritta per me. O forse siamo tutti nella stessa barca. Sono stata fine…ho scritto barca.

Incontriamo lumache giganti lungo il percorso a ricordarci che il nostro passo è lento e il tempo scorre: è ora di pranzo.

Quale posto migliore per un pranzetto fra Amiche se non il Naviglio?

Combattiamo il caldo con una buonissima birra ghiacciata…

…e chiudiamo il pranzo leggero con una soffice torta di mele (sembrava fatta veramente dalla nonna e ho anche pensato di cercarla in cucina per chiederle la ricetta) e uno strepitoso muffin al cioccolato e zenzero. Come da nostra tradizione dividiamo il dolce bottino a metà e assaggiamo entrambi.

Ci rimettiamo a camminare sognando di smaltire quanto appena mangiato. In tutto abbiamo fatto 10 km, misurati da Roberta con la app.

Lei ha una app per tutto. Tutto! Non scherzo.

Io invece le app non le uso, non ho confidenza.

Lei è moderna, io no e questa foto la dice lunga…io sono vintage.

 

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