Autore: mammeinfuga (Pagina 29 di 58)

Imparare a lasciare andare.

Stiamo organizzando una fuga, qui.

In questo caso non è la mia, ma quella di mia figlia maggiore, Alice, che questa estate raggiungerà la sua ‘zia d’America’. Mia cognata infatti vive ormai da quindici anni negli Stati Uniti, in California: partita subito dopo la fine dell’università per un corso di lingua intensivo di qualche mese, alla fine praticamente non è più tornata. Si è innamorata dell’America (e anche di un americano!) e ha deciso di vivere lì.
Quest’estate Alice andrà finalmente a trovarla e resterà da lei per circa due mesi durante le vacanze estive. Sarà ospite della zia ma la sua non sarà solo una vacanza: lavorerà e si darà da fare per vivere il più possibile un piccolo pezzo del suo ‘sogno americano’.
Tutti abbiamo avuto questa fase prima o poi.
Sognare di mollare tutto e partire per l’America.
Ora Alice ne ha concretamente l’occasione e, nonostante sia felice ed emozionata per lei, non posso nascondere a me stessa le mie ansie e preoccupazioni.
Alice e Giorgia (quando avevano rispettaviamente 8 e 6 anni)
Scherzando le diciamo sempre di non fare come la zia, che deve assolutamente tornare perchè altrimenti andremo noi direttamente a recuperare!
Ovviamente non ho nessun dubbio sul suo ritorno (anche perchè davvero me la andrei a riprendere io direttamente!!), ma da brava mamma italiana mi ritrovo ad avere un po’ di paura, ad essere un po’ spaventata per questa sua grande e fantastica avventura.
E’ un sentimento che provo sempre più spesso ultimamente. I miei figli crescono, diventano ogni giorno più grandi e più indipendenti e sto cominciando a convivere ogni giorno con queste sensazioni ed emozioni. E’ qualcosa che vivo da sola: non voglio trasmettere loro paure e angosce inutili. 
E’ il processo naturale e inarrestabile della crescita. Sarebbe sbagliato se fosse altrimenti, se tentassi di tenerli inutilmente dipendenti a me.
Eppure.
Eppure, la paura di vederli crescere e diventare grandi e indipendenti c’è.
Eppure, dentro il mio cuore di mamma cerco di vivere ognuna di queste piccole e grandi esperienze con serenità. Cerco di essere felice per Alice, per tutti loro e i loro piccoli sogni che si avverano, il loro diventare grandi ogni giorno di più.
Non è forse la stessa sensazione che abbiamo provato vedendo nostro figlio camminare per la prima volta da solo? Vedere il suo passo farsi sempre più sicuro, vedere che ad un certo punto si è sentito abbastanza forte da lasciare la nostra mano?
La mano che fino al momento prima era necessaria ed indispensabile per riuscire a stare in piedi e a camminare. Ora invece la lasciano, e noi li vediamo percorrere i loro primi passi incerti in piena autonomia e con un sentimento fortissimo di gioia e paura nel cuore.
Alice e Davide (ad 8 e 4 anni)
Questa sensazione accompagna tutta la nostra vita di mamme, di genitori.
Questa paura, mista alla felicità. Queste emozioni con cui dobbiamo, inevitabilmente, imparare a convivere. 
Ricordo ancora benissimo il momento in cui Alice ha iniziato a camminare: aveva undici mesi e non restava seduta un secondo. Continuava ad alzarsi, a provare a fare piccoli passi aggrappandosi ai mobili, al divano, al tavolino del salotto. Mi obbligava a percorrere km tra la sala e la cucina attaccata alla mia mano. Ricordo benissimo la sensazione della sua manina dentro la mia, ricordo altrettanto bene il momento in cui poi ha deciso di staccarsi per provare a camminare tutta sola.
Ricordo il suo passo incerto, il sederino traballante nel pannolone, ricordo soprattutto che un certo punto si è girata verso di me e mi ha fatto uno dei suoi lunghi, bellissimi, meravigliosi e sdentatissimi sorrisi. 
E quel sorriso voleva dire tantissime cose: voleva dire “guarda mamma, ce l’ho fatta da sola!”, voleva dire “grazie mamma che mi hai aiutato e sostenuto fin qui!”.
E in quel momento quel sorriso era davvero tutto ciò di cui avevo bisogno.
E so già che il giorno della partenza, quando l’accompagneremo in aereoporto e la saluteremo con il cuore pieno di gioia e anche di paura, dopo aver percorso qualche passo lei si girerà e ci sorriderà.
E quel sorriso sarà ancora tutto ciò di cui avrò bisogno. 
Io e Alice a Praga nel 2012

Tornare

Oggi è un giorno speciale.

E, nei giorni speciali, capita di sentire la nostalgia delle persone speciali.

Oggi ho voglia di TORNARE e di far TORNARE i miei figli che ne hanno bisogno quanto me.

A loro auguro di avere sempre un luogo in cui TORNARE e di avere, chissà dove, una persona che sia un punto di riferimento, un faro nella nebbia più fitta. Come sei tu per me, ad esempio, Amy.

“Ti ricordi quando abitavamo a Gerenzano?

Io ero quella del piano terra con il cane nero gigante che guardavi dal tuo terrazzo immenso all’ultimo piano.

Tu eri quella schiva che non veniva mai alle riunioni di condominio che a me piacevano tanto perché finivano a pane, salame e fiaschi di vino rosso.

A volte avevo l’impressione che facessi fatica anche a salutare quando ci incontravamo nelle parti comuni, sembravi una snob, per non dire una stronza.

So che pensavi lo stesso di me.

Tante amicizie che ho stretto negli anni sono iniziate con un “Che stronza!”. Ecco tu sei  la mia “Che stronza” preferita.

Poi un giorno il destino ha deciso che i nostri figli sarebbero andati all’asilo insieme, i piccoli nella classe blu e i grandi nella classe arancione, due aule ricavate in un’aula comunale all’interno di una scuola primaria. Non c’era nulla, abbiamo portato tutto: dai mobili alla carta igienica.

E da allora qualcosa è cambiato.

Abbiamo iniziato combattendo l’ansia da doppio inserimento a colpi di cappuccini e brioche in quella favolosa pasticceria con le poltrone di pelle e la barista antipatica. Noi ridevamo come matte fino a farci venire le lacrime agli occhi, lei ci guardava seria e (secondo me) pure un po’ schifata. Ecco, oggi mi manca pure lei, pensa come sono messa.

Ci siamo giocate la reputazione cantando e mimando, con enfasi, cocomeri tondi davanti a bimbi, genitori e maestre. E ti ricordi quella festa di fine anno durante la quale abbiamo cantato insieme ad altre mamme “La pecora nel bosco”? Io facevo la pecora e tu Giuseppe. Tu ti sei presentata alla prima con la minigonna rosa. Giuseppe con la minigonna rosa…solo tu.

L’ascensore? Quanti viaggi ha fatto per noi con dentro un solo assorbente o una confezione di uova. Bastava una telefonata ed ogni problema veniva risolto. Quanto mi manca l’ascensore.

E quando ho trovato i ladri in casa quel maledetto pomeriggio? Te lo ricordi? Come avrei fatto a superare quel trauma senza di te? Per quanto tempo mi hai accompagnata in casa, controllato ogni stanza, guardato sotto i letti? Mesi te lo dico io.

Quando hai deciso di trasferirti a Cislago ti ho seguita. Che sceme. Neanche tanto vicine e senza un tunnel che sostituisse quell’ascensore magico. Qui ce ne è uno, ma non l’ho mai usato.

Almeno i nostri figli hanno continuato ad andare a scuola insieme, a crescere come fratelli, nell’Amore e nel rispetto, ad essere quella presenza  che anche da lontano scalda il cuore e ti fa sentire amato.

Poi il periodo buio, per entrambe. E tutto è cambiato ancora.

Ma oggi ho bisogno di TORNARE  in quella atmosfera.

Far TORNARE i miei figli da quei fratelli in un clima di accettazione assoluta, con i propri limiti e con i propri difetti, e fare il pieno di emozioni da portare al ritorno.

 

Queste foto fanno parte dell’album di famiglia, maneggiare con cura. Ho scritto famiglia, avete letto bene.

 

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