Oggi sul blog trovate il racconto di una mamma in fuga d’eccezione: si chiama Barbara ed ha appena coronato il suo sogno di scalare il Kilimanjaro. 
Ho conosciuto Barbara diversi anni fa quando ancora viveva in Italia: i nostri figli giocavano insieme a Rugby e abbiamo avuto modo di chiaccherare un po’ e fare amicizia a bordo campo, tra un terzo tempo e un allenamento. Poco tempo dopo Barbara si è trasferita in Sudafrica con la sua famiglia. 
E’ rimasto Facebook (queste le bellezze della rete!) a tenerci in contatto e a farmi scoprire meglio una persona che avevo conosciuto solo brevemente, molto più affine a me di quanto avevo immaginato. Ma, soprattutto, a permettermi di seguirla mentre lottava per realizzare questo suo bellissimo sogno.
Quando ho letto della sua impresa ho subito pensato che fosse una storia troppo bella per non essere raccontata: una storia di determinazione, costanza, caparbietà. 
Una storia di sogni che restano quasi venti anni imprigionati in un cassetto, ma che alla fine trovano la loro strada per realizzarsi. 
E un sogno che si realizza è una vera e propria magia.
Questo è il suo racconto.
Barbara al suo arrivo sulla cima
Eccomi. 
Senza saperlo sono una mamma in fuga. 
Non in ‘fuga da’ ma in ‘fuga verso’. Verso un sogno durato 20 anni. 
A 20 anni risale il desiderio di scalare il Kilimanjaro. La più alta montagna d’Africa. Ero alle sue falde quando ho incontrato qualcuno che stava iniziandone l’ascensione. Mentre loro salivano il mio sogno nasceva. ‘Un giorno guarderò il mondo da lassù’ dissi a me stessa. 
Poi il tempo iniziò a passare e la vita mi portava si in montagna ma non su quella Montagna. 
Tre anni fa ci trasferiamo in Sud Africa e il sogno si agita nel cassetto. 
Lo propongo a mio marito ma, pur essendo un appassionato di montagna, quella non gli interessa proprio. Sto per richiudere il cassetto quando un’amica mi propone: “Scala per beneficenza. C’è un gruppo che parte ad ottobre e partecipando sostieni la causa dei cani maltrattati”. 
Ci penso 5 minuti e poi il ‘sì’ esce deciso dalla mia bocca. 
Mi alleno tutti i giorni per 2 mesi. 
Mi alleno a questa fuga mentre mio figlio e mio marito mi incoraggiano e mi sostengono. 
Pilates, yoga, corsa, steps, nuoto. Ogni giorno per 65 giorni. 
Nel frattempo raccolgo fondi per l’associazione. Non e’ nelle mie corde chiedere soldi agli amici. In Italia non lo facciamo ma qui e’ normale e se la causa e’ giusta le persone la supportano. Raccolgo quasi 1000 euro e sono dentro. Partiamo il 10 ottobre. Saliremo per 6 giorni e poi in 1 giorno e mezzo scenderemo a valle. Sappiamo che dovremo gestire il mal di montagna, le notti poco riposanti in tenda, ore di camminata e la mancanza di igiene personale. 
Ma solo se lasci la tua area di comfort sperimenti l’avventura e io amo l’avventura.
La notte dell’ascesa sara’ una di quelle notti che non mi lascera’ piu’.
Partiamo all’una sotto una stellata pazzesca e con una temperatura di -6 che diventera’ -12 poco prima dell’alba. Ormai camminiamo sopra i 5000 metri. Quota alla quale ogni passo e ogni respiro pesano come macigni. Due volte penso seriamente che non ce la farò a completare l’ascesa, così come le 40 o piu’ persone che vedo rinunciare, seduti affranti su una roccia o sul sentiero, senza piu’ la forza di continuare.
Arriva l’alba piu’ bella a darmi energia.
Sono le 8.07 del 16 ottobre 2014 quando sventolo la bandiera italiana con le firme di chi mi ha supportato. 

Il cielo è blu e il panorama da lassù mi spiega perche’ il Kilimanjaro è chiamato il tetto d’Africa.
E finalmente guardo il mondo da lassù.
Barbara Viscito